LA LLORONA

Un ricco hidalgo corteggia una donna bella ma povera e ne conquista l'amore. Gli dà due figli, ma lui non si degna di prenderla in moglie. Un giorno annuncia che sta per tornare in Spagna, dove sposerà una donna ricca scelta dalla famiglia, e porterà con sé i figli.
La giovane impazzisce e agisce proprio come tutte le pazze urlanti di ogni tempo. Gli graffia la faccia, si graffia la faccia, gli strappa i capelli, si strappa i capelli. Prende i due figlioletti e corre al fiume e li butta nell'acqua. I bambini affogano e la Llorona cade sulla riva nel dolore e nel lutto, e muore.
L'hidalgo torna in Spagna e sposa la donna ricca. L'anima della Llorona sale al cielo. Là il custode del cancello le dice che può entrare perché ha sofferto, ma prima deve recuperare dal fiume le anime dei figli.Ecco perché oggi si dice che la Llorona spazza le rive coi lunghi capelli, infila nell'acqua le lunghe dita e draga il fondo. E per questo i bambini non devono avvicinarsi al fiume di notte, perché lei può scambiarli per i propri figli e portarli via per sempre.

In una versione moderna la Llorona andò con un ricco hidalgo proprietario di varie fabbriche sul fiume.
 
Durante la gravidanza bevve l'acqua del fiume e le nacquero due gemelli ciechi e con i piedi palmati perché l'hidalgo aveva inquinato il fiume con le sue fabbriche. Allora lui non la volle più e sposò una donna ricca che voleva i prodotti delle sue fabbriche.

L'inquinamento dell'anima selvaggia: il tema della storia è la distruzione del femminino fertile. Il racconto contribuisce a insegnare a una donna cosa non fare e come ritrarsi da scelte mediocri.
Il racconto ricorre alle metafore della donna bellissima e del chiaro fiume della vita per descrivere il processo creativo femminile nel suo stato normale. Ma nell'interazione con l'intenzione distruttiva il fiume e la donna conoscono il decadimento. Poi è trascinata in una ricerca senza fine tra i rottami del suo potenziale creativo di un tempo.
Le acque sono il luogo in cui si pensa abbia avuto origine la vita stessa. Il fiume qui è il simbolo di una forma di ridondanza femminile che eccita e appassiona.
Ma talvolta la vita creativa di una donna viene rilevata da qualcosa che vuole produrre le cose dell'io soltanto, che non hanno un valore anima duraturo. Talvolta la cultura fa pressione, definendo inutili le sue idee creative. Questo è inquinamento, è scaricare piombo nel fiume.
Veleni nel fiume: l'effetto più diffuso dell'inquinamento nella vita creativa femminile è la perdita della vitalità. Nel ciclo naturale si trovano a volte impazienze e irrequietudini, ma mai si prova la sensazione che l'anima selvaggia stia morendo. Ma quando la vita creativa muore la questione cambia completamente. Ci sentiamo come il fiume morente, diventiamo pesanti, lente in modo negativo, tutto pare infetto, torbido, tossico. In questo stato ci si lascia facilmente distrarre da faccende di cuore, dall'eccessivo lavoro, dal gioco, dalla stanchezza o dalla paura del fallimento.
Fuoco sul fiume: la corrente creativa inquinata può improvvisamente esplodere in un fuoco tossico che incenerisce ogni forma di vita. Troppi complessi psichici all'opera contemporaneamente possono provocare danni immensi al fiume. Questi mettono in dubbio il vostro valore, le vostre intenzioni, la vostra sincerità e il vostro talento. Il complesso creativo vi accuserà che ciò che fate non funzionerà perché non siete logiche, perché quel che avete fatto non è logico. Ma le prime fasi della creazione non sono mai logiche, né lo devono essere. Dite al complesso di starsene seduto e di restare alla larga. E non ostinatevi a lustrare la casa prima di sedervi a scrivere, le faccende di casa sono una strana cosa: non finiscono mai. Sistema perfetto per bloccare una donna.
Accade anche che il processo creativo sia incompreso o non rispettato da chi circonda una donna. Sta a lei informarli che quando ha "quello sguardo" significa che sta soppesando un grande archivio di idee sulla punta di un dito. Una donna può spezzarsi il cuore accantonando le sue idee finchè tutta l'eccitazione è spenta e in molti altri modi.
Quando la creazione è avvelenata o impantanata, la donna cerca di ignorare le condizioni dell'animo. Fa qualcosina, leggiucchia, ma sono tutte cose senza importanza. Sta solo prendendo in giro se stessa. Quando il fiume muore, manca la sua corrente, la sua forza vitale. Senza Shakti, la personificazione della forza vitale femminile, Shiva, che racchiude le capacità di agire, diventa un cadavere. Lei è l'energia vitale che anima il principio maschile, e a sua volta il principio maschile anima l'azione nel mondo.
L'uomo del fiume: animus è forza-anima nelle donne, ed è ritenuto maschile. E' una forza che aiuta la donna ad agire in prima persona nel mondo esterno, a esprimere i suoi intimi pensieri e sentimenti specifici e femminili in modi concreti. E' un "uomo che fa da ponte" fondamentale. La donna selvaggia compone il canto, lui lo orchestra. Lei immagina, lui consiglia. Senza di lui l'opera teatrale è creata nell'immaginazione, ma non verrà mai messa in scena.
E' ancora vivo nella memoria della donna selvaggia il tempo in cui le donne dotate erano gettate da parte come rifiuti, in cui una donna non poteva avere un'idea, a meno che segretamente non la piantasse e non la fecondasse in un uomo il quale poi la portava nel mondo come se fosse sua. L'aspetto fondamentale dello sviluppo dell'animus è la manifestazione dei pensieri, degli impulsi e delle idee interiori. Dev'essere tenuto in esercizio, gli devono regolarmente essere affidati dei compiti, se vogliamo essere capaci di agire. Esso può diventare un aiutante, un assistente, un amante, un fratello, un padre, un re. Esiste un aspetto regale nella psiche femminile che opera a nome della donna e per il suo bene.
Ma nel racconto l'animus ha perseguito altri obiettivi a spese della natura selvaggia e il fiume si riempie di rifiuti, avvelenando i figli non ancora nati della donna. Che accade se qualcosa si appropria della corrente creativa rendendola sempre più fangosa? Se ci lasciamo intrappolare? Se in modo perverso cominciamo ad amarlo e a sentirci vive attraverso di esso? Se lo usiamo per tirarci giù dal letto al mattino? L'hidalgo rappresenta un aspetto della psiche "andato a male". Quando l'animo è una minaccia come nel racconto, la donna perde fiducia nelle proprie decisioni.
Le donne dotate, anche quando cose bellissime nascono dalle loro mani, dalle penne, dai corpi, continuano a dubitare di essere vere artiste, scrittrici, pittrici, persone.
Qualsiasi tentativo di atto creativo disturba un animo negativo, che parte subito all'attacco. La donna prende in mano una penna, e la fabbrica sul fiume sputa veleno. Qualcosa non va nell'animo, nella capacità di manifestare e realizzare le proprie idee nel mondo.
La parte difficile è immergersi nel fango e cercare, dragare il fiume alla ricerca della nostra vita-anima, della nostra vita creativa.
Riprendersi il fiume: ,bisogna esercitarsi ad accettare il complimento, assaporarlo. Reagire: ecco come ripulire il fiume. La creatività è la capacità di reagire a tutto quanto succede intorno a noi, di scegliere tra centinaia di possibilità di pensiero, sentimento, azione e reazione e riunirle in una risposta, un'espressione o un messaggio unici, ricchi di passione e di significato. Essere selvagge: ecco come purificare il fiume. Consentire alla nostra vita ideativa di sciogliersi, scorrere, non censurando inizialmente nulla. Iniziare: cominciate subito, eventualmente fallite, riprendetevi, ricominciate. Non è il fallimento a trattenerci, ma la riluttanza a ricominciare più e più volte. Superate la paura e non continuate ad usarla per evitare di ripulire il fiume. Proteggere il proprio tempo: ecco come bandire gli elementi inquinanti. L'animo positivo ha confini eccellenti. Ostinarsi: continuare nella nostra opera, qualunque essa sia, che ci si senta forti o no, pronte o no. Proteggere la vita creativa: dedicatevi alla vostra opera tutti i giorni, non lasciate che niente e nessuno vi costringa alla carestia.
 
 La llorona


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LA PICCOLA FIAMMIFERAIA

C'era una volta una bambina che non aveva né padre né madre e viveva nel bosco oscuro. Un villaggio sorgeva al limitare del bosco, e lei aveva imparato che là poteva comprare fiammiferi per mezzo penny e poteva rivenderli per la strada a un penny intero. Se ne vendeva abbastanza, riusciva a comprarsi un pezzetto di pane raffermo; tornava allora al suo povero rifugio nel bosco e dormiva tenendosi addosso tutti gli abiti che possedeva.
Arrivò l'inverno, e faceva molto freddo. Non possedeva scarpe, e il cappotto era talmente liso da essere trasparente. Aveva i piedi blu, con le dita tutte bianche; altrettanto bianche erano le dita delle mani e la punta del naso. Vagava per le strade e pregava i passanti di comprarle qualche fiammifero, ma nessuno si fermava e nessuno si curava di lei.Così una sera si mise a sedere e disse tra sé: "Ho dei fiammiferi. Posso accendere un fuoco e scaldarmi". Ma non aveva legnetti né ciocchi. Decise comunque di accendere i fiammiferi. E così, seduta con le gambe tese, strofinò il primo fiammifero. E subito parve che freddo e neve fossero svaniti come per incanto. Invece dei fiocchi di neve volteggianti nell'aria,vide una bella stanza con una stufa di ceramica verde scuro, con lo sportello di ferro ornato di volute.
 

La stufa emanava tanto calore da far ondeggiare l'aria. Si rannicchiò vicino alla stufa e le parve di essere in paradiso.Ma d'improvviso la stufa svanì e lei si ritrovò seduta nella neve, tutta tremante, e per il freddo batteva i denti. E allora strofinò il secondo fiammifero e la luce cadde sul muro della casa accanto e potè improvvisamente vedere dentro. Nella stanza c'era una tovaglia candida come la neve che ricopriva una tavola, e sulla tavola c'erano stoviglie di porcellana del bianco più puro, e su un grande piatto c'era un'anatra appena sfornata, e proprio mentre stava per mettersi a mangiare la visione svanì
Era di nuovo nella neve. Ma ora le ginocchia e i fianchi non le dolevano più. Ora il freddo pungeva e bruciava lungo le braccia e nel petto, sicchè accese il terzo fiammifero. E nella luce del fiammifero vide uno splendido albero di natale, mirabilmente decorato con candeline bianche ornate di pizzo alla base, e belle palle di vetro, e migliaia e migliaia di puntini luminosi che non riusciva a capire che cosa fossero. E sollevò lo sguardo sull'albero enorme, e quello si sollevava sempre più in alto, finchè divenne le stelle del cielo sulla sua testa, e una stella attraversò sfavillando il cielo, e lei ricordò che la mamma le aveva detto che quando un'anima muore, cade una stella.
E d'improvviso dal nulla apparve la sua nonna, tanto gentile e affettuosa, e la bimba fu così felice di vederla. La nonna sollevò il grembiule e l'avvolse intorno alla bambina, se la strinse tra le braccia e la bambina provò felicità.
Ma la nonna prese a dissolversi. E la bambina accese un fiammifero dopo l'altro per riavere la nonna accanto a sé…un fiammifero dopo l'altro…e insieme presero a salire in cielo dove non faceva freddo, non si provava fame né dolore. La mattina dopo, lì tra le case, la bambina fu ritrovata immobile. Era andata via per sempre

I bei sogni, quando le condizioni di vita sono difficili, non vanno bene. in tempi duri dobbiamo avere sogni duri, sogni reali, quelli che, se ci daremo da fare, si avvereranno
L'allontanamento dalla fantasia creativa: la bambina vive tra persone che non si curano di lei. Quello che ha, i fiammiferi (l'inizio di qualsiasi possibilità creativa), non viene apprezzato. Stare insieme a persone vere che ci riscaldano è essenziale al flusso della vita creativa. Il nutrimento è un coro di voci, dal di dentro e dall'esterno. Tutte le donne hanno diritto a un coro di alleluja.
.Quando sono fuori al freddo, le donne tendono a vivere di fantasia invece che di azione. sono timide, e la timidezza spesso ricopre l'animo che muore di fame.
Il calore dovrebbe essere l'obiettivo principale della piccola fiammiferaia. Lei invece cerca di vendere i fiammiferi, la sua fonte di calore. Ciò che si deve fare al suo posto è non concepire il mondo fantastico che si crea accendendo i fiammiferi. Esistono tre tipi di fantasia. Il primo è fonte di piacere. Il secondo è l'immaginazione intenzionale. Il terzo porta tutto a uno stop, ostacola la giusta azione nei momenti critici. Sono fantasie che nulla hanno a che vedere con la realtà.
Per capovolgere la situazione dobbiamo portare le nostre idee in un posto dove trovino sostegno. Insieme al fuoco, trovare nutrimento.
Spesso le persone hanno idee bellissime. I progetti vanno alimentati. Hanno bisogno di un sostegno vitale - di persone calde. E' necessario muoversi, e non restare lì sedute. Dobbiamo fare qualcosa per trasformare la nostra situazione. Altrimenti ci troveremo in strada a vendere di nuovo fiammiferi.
Gli amici che vi amano e appoggiano calorosamente la vostra vita creativa sono il migliore sole del mondo.
La donna congelata, priva di nutrimento, tende a elaborare continui sogni ad occhi aperti, sul "come sarebbe se": un bel giorno…, se solo avessi…, lui cambierà…, quando sarò davvero pronta…, quando mi sentirò più sicura…, quando troverò un altro. Ma questa fantasia confortevole è una fantasia che uccide. E' una distrazione seducente e letale dalla realtà.
Alle donne nella condizione della piccola fiammiferaia l'iniziazione è andata storta. Le condizioni ostili, che fanno parte dell'iniziazione, non servono per approfondire ma per decimare. Gli archetipi di iniziazione femminile sono: dare la vita, il potere del sangue, così come essere innamorate o ricevere un amore che alimenta e nutre.
La freddezza suona la fine di ogni relazione. Per uccidere una cosa, basta mostrarsi freddi nei suoi confronti. Quando gli esseri umani vogliono abbandonare qualcosa che hanno dentro o lasciare qualcuno fuori al freddo, ignorano, abbandonano, se ne sbarazzano, e si allontanano per non udirne la voce né sfiorarne lo sguardo. Questa è la situazione nella psiche della piccola fiammiferaia. Essa gira per le strade e prega i passanti di comprarle i fiammiferi: offre la luce a poco prezzo, perché è bisognosa. Questo le costerà un'ulteriore perdita di energia. Porta la luce dall'abisso ma la svende in inutili fantasie: cattivi amanti, capi scorretti, situazioni di sfruttamento, scaltri complessi tentano la donna a fare queste scelte.
Quando la piccola fiammiferaia accende i fiammiferi per scaldarsi usa le risorse per fantasticare invece che per agire, usa la sua energia per qualcosa di effimero. Quando una donna non riesce più a sentirsi, allora una vita fantastica è molto più piacevole di qualsiasi cosa su cui possa posare lo sguardo. Il fantasticare è come una bugia: se si ripete si finisce per crederci.
La stufa rappresenta i pensieri pieni di calore, ma a un certo punto svanisce. Questo tipo di fantasia non può che bruciare la nostra energia. Ogni fantasia portata dai fiammiferi accesi si estingue, e di nuovo la bimba è nel gelo. Infine la nonna trascina la bimba nel sonno della morte, il sonno della compiacenza e del torpore.
E' molto meglio guarire dalla dipendenza della fantasia che restare in attesa, desiderando e sperando di essere risollevate dalla morte..

 
La piccola fiammiferaia

 

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TRE CAPELLI D'ORO

Una volta, una notte nera e profonda, una di quelle notti in cui la terra è nera e gli alberi paiono mani rugose e il cielo è di un blu profondo, un vecchio attraversava barcollando un bosco, mezzo accecato dai rami degli alberi che gli graffiavano la faccia. In una mano teneva una piccola lanterna. La candela nella lanterna mandava una luce sempre più fioca. L'uomo aveva lunghi capelli gialli, denti gialli e unghie ricurve e gialle. Era tutto curvo, e la schiena era arrotolata come un sacco di farina. Era tanto segnato dalle rughe che la pelle pendeva a pieghe e falde dal mento, dalle ascelle e dalle anche.
Si afferrava a un albero e poi avanzava un poco, poi si afferrava a un altro albero e riprendeva il cammino, e così andava avanti nel bosco. Tutte le ossa dei piedi gli dolevano e bruciavano come fuoco. I gufi sugli alberi stridevano insieme alle sue giunture mentre si spingeva avanti nell'oscurità.
 

In lontananza si scorgeva una piccola luce tremolante, una casetta, un fuoco, un posto per riposare, e faticosamente si diresse verso quella piccola luce. Quando arrivò alla porta era così stanco, esausto, la piccola luce della lanterna si spense e il vecchio crollò contro la porta.
Dentro c'era una vecchia seduta vicino ad un fuoco ruggente, e gli corse accanto, lo raccolse nelle sue braccia e lo portò accanto al fuoco. Lo tenne tra le braccia come una madre tiene il suo bambino. Si sedette sulla sua sedia a dondolo e lo cullò. Eccoli, il povero fragile vecchio, un mucchietto di ossa, e la forte vecchia che lo cullava avanti e indietro. E lo cullò per tutta la notte, e verso l'alba era diventato un uomo molto più giovane, un bellissimo uomo dai capelli d'oro e dalle forti membra. E lei continuava a cullarlo.
Stava per spuntare l'alba, la vecchia si affrettò a stappare tre capelli dalla testa del bambino e le gettò sulle mattonelle, e cadendo produssero un suono cristallino.
E il bimbetto che teneva tra le braccia scivolò giù dal suo grembo e corse alla porta. Si voltò un attimo a guardare la vecchia, le sorrise di un sorriso luminosissimo, poi si volse e volò in cielo per diventare lo splendido sole del mattino.

Quando il nostro intento è chiaro, non affoghiamo in fantasie di evasione, siamo integrate e la nostra vita fiorisce, ci occorre ancora sapere che cosa fare quando ci sfuggirà il fuoco, quando saremo logorate. Questa è la storia di come riappropriarsi del fuoco quando lo si è perduto. Il CONTENIMENTO è la risposta al problema della perdita di energia.
Quando in una favola è notte sappiamo di trovarci nell'inconscio. In questo racconto l'energia, sotto forma di un uomo vecchissimo, s'indebolisce sempre di più. E' sbagliato, quando si perde il fuoco, affannarsi per rimetterlo insieme. Sedere e dondolarsi è la cosa da fare. Conservare l'idea e la pazienza di cullarla.
La piccola luce rappresenta l'idea stessa, che si affatica e quasi si estingue. Ritroviamo qui La Que sabè, la donna di due milioni di anni, stare accanto al suo fuoco permette di riprendersi. La donna la cui idea o le cui energie sono svanite deve conoscere la strada per andare dalla vecchia curandera. Deve riposare, dondolarsi, ritrovare il suo fuoco. Deve ringiovanire, recuperare l'energia.
Il portare a termine lunghe fatiche, come terminare la scuola, o un'opera, o curare un malato, fa sì che a un certo momento l'energia un tempo giovane invecchi. E' meglio per le donne capirlo all'inizio di uno sforzo, perché la fatica le sorprende. La presunzione della forza eterna al maschile è un errore.
Nella storia tre capelli vengono gettati a terra. I capelli sono il simbolo del pensiero, gettarne via qualcuno rende il bambino più leggero, lo fa brillare di una luce più vivida. Strappate tre capelli dalla vostra idea e gettateli a terra. Tagliare i rami secchi aiuta l'albero a crescere più forte.
Se avete perduto il fuoco, la concentrazione, sedete e state quiete. Prendete l'idea e cullatela. Tenetela in parte, e in parte buttatela, si rinnoverà.

 
I tre capelli d'oro

 

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BAUBO, LA DEA PANCIUTA

Demetra, la dea madre della terra, aveva una bellissima figlia di nome Persefone, che un giorno giocava all'aperto. Persefone vide ad un tratto un fiore particolarmente bello e allungò le mani per coglierlo. D'improvviso la terra si mise a tremare e si aprì una profonda voragine. Dalle profondità della terra emerse Ade, il dio degli Inferi. Alto e possente, stava ritto su un carro nero tirato da quattro cavalli del colore dei fantasmi.
Ade rapì Persefone sul suo carro e lanciò i cavalli nelle profondità della terra. Le urla di Persefone si fecero sempre più flebili a mano a mano che si richiudeva la voragine della terra, come se nulla fosse mai accaduto. Sulla terra regnò il silenzio e si diffuse il profumo dei fiori calpestati. E la voce della fanciulla risuonò attraverso le pietre delle montagne, gorgogliò tra le onde del mare. Demetra udì le pietre urlare. Udì le acque urlare. Strappandosi il serto dalla chioma immortale, spogliandosi degli scuri veli, prese a volare sulla terra come un grande uccello, alla ricerca di sua figlia, chiamandola a gran voce.
 
Quella notte una vecchia seduta al limitare di una caverna disse alla vecchia di aver udito tre grida quel giorno: una era una giovane voce che urlava di terrore, l'altra chiamava lamentosamente e la terza era di una madre in lacrime.
Persefone non si ritrovava e iniziò così la lunga folle ricerca di Demetra della figlia tanto amata. Demetra s'infuriò, pianse, urlò, cercò indizi e frugò dentro, sotto, sopra ogni rialzo della terra, implorò compassione, implorò la morte, ma non riuscì a trovare l'amata figlia. Allora, lei che aveva fatto crescere ogni cosa per l'eternità, maledisse tutti i campi fertili del mondo. Per via della maledizione di Demetra, nessun bambino poteva nascere, non poteva crescere il grano per il nutrimento, né potevano sbocciare fiori per le feste o crescere rami d'albero per i morti. Tutto era appassito e inaridito sulla terra riarsa.
Demetra non si era più bagnata, e le sue vesti erano tutte infangate e i capelli arruffati. Nel suo cuore la pena vacillava, ma non si sarebbe arresa. Dopo tante domande, preghiere, avventure che non avevano portato a nulla, cadde infine accanto ad un pozzo in un villaggio in cui nessuno la conosceva. E appoggiò il corpo dolente contro la pietra fredda del pozzo, e in quel mentre sopraggiunse una donna, o piuttosto una specie di donna. E questa donna si mise a danzare di fronte a Demetra dimenando i fianchi in un modo che ricordava il rapporto sessuale, e scuotendo i seni nella danza. E vedendola Demetra non poté trattenere un lieve sorriso. La femmina ballerina era davvero magica, perché non aveva testa, e i capezzoli erano i suoi occhi e la vagina la sua bocca. Con questa amabile bocca prese a intrattenere Demetra con storielle piccanti. Demetra cominciò a sorridere, poi ridacchiò, poi esplose in una fragorosa risata. E insieme risero le due donne, la piccola Baubo e la potente Demetra.
E fu proprio questo riso che trasse Demetra dalla depressione e le diede l'energia necessaria per continuare la ricerca della figlia; con l'aiuto di Baubo, della vecchia Ecate e di Elio, il Sole, la ricerca ebbe buon esito Persefone fu restituita alla madre. Il mondo, la terra e il ventre delle donne ripresero a fiorire.

C'è un aspetto femminile che è una sorta di fuoco sotterraneo che a volte divampa, talaltra lentamente brucia, ciclicamente. Uno stato di intensa consapevolezza sensoriale che include la sessualità, ma non si limita ad essa. Nelle antiche culture matriarcali esistevano delle dee dell'oscenità. L'osceno non è affatto volgare, ma assomiglia piuttosto ad una creatura fantastica che vorreste avere tra le vostre migliori amiche. Nel riso la donna può cominciare a respirare davvero, a sentire sensazioni di apertura alle lacrime trattenute o a memorie dimenticate, o l'apertura delle catene messe alla personalità sessuale. Queste dee allentano ciò che è troppo stretto, bandiscono la malinconia, mantengono liberi i passaggi.
Una di queste dee è Baubo. Discende dalle dee panciute neolitiche, misteriose figure senza testa. Sono i talismani del potere femminile. E il riso che scuote il ventre è una delle migliori medicine che una donna possa ricevere.
L'energia maschile è bella, addirittura sontuosa, grandiosa, ma a volte è come mangiare troppi cioccolatini. Di tanto in tanto è bello mangiare solo riso bianco e bere brodo leggero. Di tanto in tanto è bello vivere un'atmosfera squisitamente femminile, in solitudine o in compagnia.
Un po' di oscenità aiuta a vincere la depressione. Certe risate, provocate da vecchie storie che le donne si raccontano, rimescolano la libido, riattizzano il fuoco dell'interesse alla vita.
Gli scherzi e il riso delle donne sono un'ottima medicina per i tempi duri, un corroborante nella convalescenza. Quando il riso rende le persone contente di essere al mondo, più consapevoli dell'amore e dell'eros, quando allevia la tristezza e vince la collera, allora è sacro.
 
Baubo, la dea panciuta


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L'ORSO DELLA LUNA CRESCENTE (Giappone)

C'era una volta una giovane che viveva in un profumato bosco di pini. Il marito era lontano, a combattere una lunga guerra. Quando finalmente fu congedato, tornò a casa, ma si rifiutò di entrarvi perché si era abituato a dormire sulle pietre. Stava giorno e notte per conto suo, nel bosco.
La giovane moglie era tanto eccitata quando le dissero che finalmente il marito sarebbe ritornato a casa, che prese a comprare cibi e a cucinare piatti e piatti e ciotole e ciotole di giuncata di soia, e tre tipi di pesce e tre tipi di alghe, e riso cosparso di pepe rosso, e dei bei gamberi, grossi e color arancio.
Sorridendo timidamente, portò i cibi nel bosco e s'inginocchiò accanto al marito tanto stanco della guerra, e gli offrì le stupende pietanze che aveva preparato. Ma lui saltò in piedi e diede un calcio ai vassoi, sicchè la giuncata si sparse per terra, il pesce volò per aria, le alghe e il riso si sparpagliarono ovunque, e i grossi gamberi arancioni rotolarono lungo il sentiero.
"Lasciami stare!" urlò, e le voltò le spalle. Era tanto in collera che lei ne ebbe quasi paura. Alla fine, disperata, riuscì a raggiungere la caverna della guaritrice che viveva lontano dal villaggio
"Mio marito è tornato gravemente turbato dalla guerra" disse la moglie. "S'infuria continuamente e non mangia nulla. Vuole restare all'aperto, non vuole più vivere con me come un tempo. Puoi darmi una pozione per renderlo di nuovo gentile e affettuoso?"
La guaritrice la rassicurò:"Posso fare questo per te, ma mi occorre uno speciale ingrediente. Purtroppo ho esaurito i peli dell'orso della luna crescente.
 
Devi dunque arrampicarti su per la montagna, trovare l'orso nero e portarmi un pelo della luna crescente che ha sulla gola. Allora potrò darti quel che ti occorre, e la vita tornerà a essere bella".
Molte donne si sarebbero scoraggiate, avrebbero ritenuto impossibile quell'impresa. Ma lei no, perché era una donna che amava. "Oh, ti sono così grata!" disse. "E' così bello sapere che si può fare qualcosa".
Si preparò dunque al viaggio, e la mattina dopo prese a salire su per la montagna. E intanto cantava "Arigato zaisho", che è un modo per salutare la montagna e dirle "grazie di lasciarmi salire sul tuo corpo".
Salì sulle colline dove i massi erano come grosse pagnotte di pane. Raggiunse un altipiano ricoperto da un bosco. Gli alberi avevano lunghi rami drappeggiati e foglie che parevano stelle. "Arigato zaisho" cantava. Era un modo per ringraziare gli alberi che sollevavano le chiome per lasciarla passare. Così riuscì ad attraversare il bosco e riprese a salire. Ora era più faticoso. La montagna aveva fiori spinosi che si impigliavano all'orlo del kimono, e rocce che le sbucciavano le piccole mani. Strani uccelli neri le volavano incontro nel crepuscolo e la spaventarono. Sapeva che erano muen-botoke, spiriti dei morti che non avevano parenti, e per loro intonò preghiere: "Vi sarò parente. Farò in modo che possiate riposare".
Salì ancora, perché era una donna che amava. Salì finchè vide la neve sulla cima della montagna. I piedi si bagnarono e diventarono freddi, ma lei continuò a salire, perché era una donna che amava. Si scatenò una tempesta, e i fiocchi di neve le entravano negli occhi e nelle orecchie. Accecata, continuava a salire. E quando smise di nevicare la donna cantò: "Arigato zaisho", per ringraziare i venti che non l'accecavano più.
Si rifugiò in una piccola caverna, così piccola che ci stava dentro a malapena. Aveva del cibo per sé, ma non mangiò; si ricoprì di foglie e dormì. La mattina l'aria era tranquilla e tra la neve si scorgevano persino delle pianticelle verdi. "Ecco" pensò "è arrivato il momento di trovare l'orso della luna crescente".
Cercò tutto il giorno e all'imbrunire trovò delle grosse cataste di legna e non ebbe più bisogno di cercare, perché un gigantesco orso nero camminava pesantemente sulla neve, lasciandosi dietro profonde orme. L'orso della luna crescente ringhiò ferocemente ed entrò nella sua tana. La donna frugò nel suo fagotto e mise il cibo che aveva portato in una ciotola. L'appoggiò sulla soglia della tana e tornò a nascondersi nel suo rifugio. L'orso sentì l'odore del cibo e uscì barcollando dalla sua tana, ringhiando così forte da far rotolare delle pietre. L'orso girò un po' di volte attorno al cibo, sentì il vento e inghiottì il cibo in un sol boccone. Poi sparì nella sua tana.
La sera dopo la donna fece la stessa cosa, ma dopo aver depositato la ciotola non tornò nel suo rifugio ma si fermò a mezza strada. L'orso sentì l'odore del cibo, uscì dalla tana, ringhiò da scrollare le stelle dei cieli, girò attorno, molto cautamente sentì l'aria, ma alla fine inghiottì il cibo e tornò nella sua tana. La cosa continuò per parecchie notti finchè in una scura notte blu la donna sentì di avere abbastanza coraggio da aspettare vicino alla tana dell'orso.
Mise il cibo nella ciotola sulla soglia della tana e lì rimase in piedi, in attesa. Quando l'orso sentì l'odore del cibo e uscì, vide anche un piccolo paio di piedi umani. L'orso alzò il capo e ringhiò tanto forte da farle rumoreggiare le ossa. La donna tremava, ma restò al suo posto. L'orso si ripiegò sulle zampe posteriori, spalancò le fauci e ringhiò tanto che la donna potè vedere il palato rosso e marrone della bocca. Ma non si diede alla fuga. L'orso ringhiò più forte e allungò le zampe come per afferrarla, con i dieci artigli che pendevano come dieci lunghi coltelli sulla sua testa. La donna tremava come una foglia al vento, ma rimase ferma dov'era.
"Per favore caro orso" implorò "per favore, ho fatto tutta questa strada perché ho bisogno di una cura per mio marito". L'orso lasciò ricadere a terra le zampe sollevando una nuvola di neve, e osservò la faccia terrorizzata della donna. Per un attimo alla donna parve di poter vedere intere catene montuose, vallate, fiumi e villaggi riflessi nei vecchi occhi dell'orso. Provò una gran pace, e smise di tremare.
"Ti prego caro orso, ti ho nutrito per tante notti, potrei avere un pelo della luna crescente che hai sulla gola?". L'orso rifletteva e pensava: questa piccola donna sarebbe un buon cibo. Ma improvvisamente provò per lei tanta pietà. "E' vero" disse l'orso della luna crescente, "sei stata buona con me. Puoi prendere un mio pelo. Ma fai in fretta e tornatene a casa".
L'orso sollevò il muso perché potesse vedere la bianca luna crescente sulla gola, e la donna vide anche il suo cuore pulsare forte. La donna poggiò una mano sul collo dell'orso, e con l'altra prese un lucente pelo bianco, e in fretta lo strappò. L'orso indietreggiò e urlo come fosse stato ferito. Poi il dolore si trasformò in stizza.
"Oh grazie mille orso della luna crescente." La donna si piegò in mille inchini, ma l'orso grugnì e fece un passo avanti. Urlò parole che lei non poteva comprendere e che pure aveva sempre saputo. La donna si volse e volò giù dalla montagna. Corse sotto gli alberi con le foglie a stella. E sempre andava intonando: "Arigato zaisho", per ringraziare gli alberi che sollevando i rami la lasciavano passare. Inciampò sui massi che parevano grosse pagnotte di pane urlando: "Arigati zaisho", per ringraziare la montagna che l'aveva fatta salire sul suo corpo.
Sebbene avesse gli abiti ridotti a brandelli, i capelli spettinati e la faccia sporca, corse giù per gli scalini di pietra che portavano al villaggio e raggiunse la capanna dove la guaritrice sedeva a curare il fuoco. "Guarda, l'ho trovato, il pelo dell'orso della luna crescente!" urlava la giovane donna.
"Bene" disse la guaritrice con un sorriso. Prese il pelo bianco e lo guardò alla luce. "Sì, è un autentico pelo dell'orso della luna crescente". Poi d'improvviso si volse e gettò il pelo nel fuoco, dove scoppiettò e bruciò in una bella fiamma arancione.
"No" urlò la donna "cosa hai fatto?"
"Calmati, va bene così, è tutto a posto", disse la guaritrice. "Ti ricordi tutto quello che hai fatto per scalare la montagna? Ricordi tutto quello che hai fatto per conquistare la fiducia dell'orso? Ricordi quello che hai visto, quello che hai udito?".
"Sì" rispose la donna, "lo ricordo benissimo".
La vecchia guaritrice le sorrise dolcemente e disse: "Ora, figlia mia, torna a casa con tutte queste nuove conoscenze, e comportati nello stesso modo con tuo marito".

La collera come maestra: Il contenuto di questa storia ci mostra che la pazienza soccorre la collera, ma il messaggio indiretto riguarda quanto una donna deve fare per riportare l'ordine nella psiche e rinfrancare l'io in collera. Per affrontare e guarire la collera è necessario: ricercare una forza salutare, saggia e quieta (la guaritrice); accettare la sfida di penetrare nel territorio psichico (la scalata della montagna), riconoscere le illusioni (superare i massi, correre sotto gli alberi), dare riposo ad antichi pensieri e sentimenti ossessivi (gli inquieti spiriti), sollecitare il grande compassionevole Io (nutrire l'orso), comprendere il lato ringhiante della psiche compassionevole (riconoscere che l'orso non è docile). La cura sta nel processo di ricerca e pratica e non in un'unica idea (distruzione del pelo).
La psiche ha un lato torturato e molto in collera rappresentato dal marito, lo spirito amante della psiche, la moglie, assume il compito di trovare una cura per la collera.
La pazienza è un'ottima cosa per la collera antica come per la nuova, e ottima cosa è la ricerca di una cura.
Il lavoro psichico va fatto sia nel mondo interiore che in quello esteriore. Possiamo usare la luce della collera in un modo positivo, per vedere dove di solito non possiamo vedere. Tutte le emozioni, anche la collera, portano sapienza, penetrazione, illuminazione. Ma la collera non trasformata può diventare un mantra su quanto siamo stati oppressi, feriti e torturati. La collera corrode la nostra fede che possa accadere qualcosa di buono. Dietro alla perdita della speranza di solito c'è la collera, dietro alla collera il dolore, dietro al dolore una qualche tortura.
La scalata della montagna: invece di cercare di "comportarci bene", di non sentire la nostra collera, è bene invitarla a sedere accanto a noi. All'inizio la collera si comporta come il marito della storia: non vuol mangiare, non vuol parlare, vuol stare per conto suo. In questo momento critico chiamiamo la guaritrice, la nostra parte più saggia, le nostre risorse migliori. La guaritrice interiore mantiene la calma per immaginare come procedere nel migliore dei modi, osservando con calma la situazione che provoca la nostra collera, proiettandoci nel futuro per farci vedere cosa ci renderebbe orgogliose del nostro comportamento passato, con il senno di poi.
Noi vogliamo usare la collera come forza creativa. Per cambiare, sviluppare, proteggere. Se c'è calma può esserci apprendimento, se divampa un terribile fuoco esso lascerà solo cenere.
E' bene ritirarsi sulla montagna quando non sappiamo che altro fare. Nelle fiabe la montagna è il simbolo che descrive i livelli di padronanza da raggiungere prima di salire al livello successivo. Scalando la montagna sconosciuta conquistiamo una vera conoscenza della psiche istintiva. Nella storia la montagna consente alla donna di salire e gli alberi sollevano i rami per lasciarla passare. E' il simbolo del diradarsi delle illusioni. Sollevare i veli dell'illusione rende tanto forti da sopportare la vita, consente di imparare a non prendere troppo sul serio la prima impressione, ma a guardare oltre. La donna della storia compie il suo viaggio per portare luce nell'oscurità della collera. Per farlo deve comprendere i vari strati di realtà sulla montagna. Abbiamo tante illusioni nella vita!
Gli uccelli: la rabbia è il risultato di fantasmi che non riposano in pace perché nessuno se n'è occupato.
L'orso - spirito: per gli antichi l'orso rappresenta la resurrezione (il letargo). L'orso può essere inteso come la capacità di regolare la propria vita, specie quella del sentimento. L'orso si muove secondo i cicli, va in letargo e rinnova l'energia per il ciclo successivo. Si può conservare un controllo della pressione della vita emotiva, si può essere insieme fieri e generosi, reticenti e preziosi. Si può proteggere il territorio, segnare chiaramente i confini, scuotere il cielo se necessario, ed essere comunque disponibili, accessibili, capaci di generare.
Il fuoco trasformatore e l'azione giusta: nello Zen, il momento in cui la guaritrice getta il pelo nel fuoco è il momento della vera illuminazione. Questa avviene quando la proiezione della cura magica si dissolve. Quello che serve è la PRATICA: occorre tornare a casa e compiere i vari passi, uno dopo l'altro, tutte le volte che è necessario, il più a lungo possibile o per sempre. Quando insorge la collera dobbiamo tenerla in attesa, liberare le illusioni, salire sulla montagna e parlarle.
Tornata la donna dalla montagna, la vita torna ad essere mondana, lei possiede il dono dell'esperienza sulla montagna, ha la conoscenza. L'energia della collera può essere usata per altro. Pure, un giorno, la collera spunterà di nuovo (per uno sguardo, una parola, un tono di voce, la sensazione di essere trattata senza stima, o manipolata). Le particelle residue della collera originaria provocano una sofferenza intensa quasi come la ferita originaria. Allora ci si irrigidisce e si aumenta così la sofferenza. E' d'obbligo allora fermarsi, ritirarsi e scegliere la solitudine.
I descansos: c'è un tempo dell'esistenza in cui una donna prende una decisione importante per la sua vita futura: essere amara o non esserlo. I descansos sono piccoli croci bianche lungo le vie, sono luoghi di sosta. Sono lì in memoria della morte di qualcuno. Le donne muoiono migliaia di volte prima dei vent'anni. Se questo approfondisce l'individuazione, la crescita, la consapevolezza, si tratta anche di tragedie tremende, e come tali vanno piante. Fare dei descansos vuol dire guardare la propria esistenza e segnare dove sono avvenute le piccole e le grandi morti.
L'istinto offeso e la collera: è necessario fare rispettare confini ben precisi e dare risposte ferme. Una donna può avere difficoltà a liberare la collera anche quando le intralcia la vita. Soffermarsi sui traumi serve per arrivare alla guarigione, ma alla fine le ferite devono essere suturate, diventare cicatrici.
L'insabbiamento in una rabbia antica: quando una donna ha difficoltà a lasciar sbollire la rabbia, spesso è perché la usa per sentirsi più forte. Ma la collera continua brucia l'energia primaria. La foga della collera non va confusa con la vita appassionata. E' una difesa che costa molto mantenere.
C'è un modo di uscirne: il perdono.
Le quattro fasi del perdono:
1- PRENDERE LE DISTANZE: è bene allontanarsi, non pensare per un po' alla persona o all'evento. Ci lasciamo uno spazio per rafforzarci, per godere di altre felicità.
2- ASTENERSI: evitare il castigo. Avere pazienza, resistere, incanalare l'emozione. Praticare la generosità.
3- DIMENTICARE: lasciare andare, allentare la presa, in particolare nella memoria. Relegare la questione sullo sfondo, rifiutando di raccogliere il materiale infiammabile. Non fomentarsi con pensieri, immagini, emozioni ripetitivi. Abbandonare la pratica di ossessionarsi, creare un paesaggio nuovo, una vita nuova e nuove esperienze a cui pensare.
4- PERDONARE: il perdono "definitivo" non significa resa, è la decisione conscia di smetterla di nutrire il risentimento, di rinunciare alla rappresaglia. Significa rinunciare non alla protezione, ma alla freddezza.
 
L'orso della luna crescente (Giappone)


 
 
 

GLI ALBERI SECCHI (medio Oriente)

C'era una volta una creatura alla quale il pessimo carattere aveva provocato difficoltà enormi e la perdita dei buoni amici. Si avvicinò a un vecchio saggio coperto di stracci e gli domandò: "Come potrò riuscire a tenere sotto controllo questo demone della rabbia?". Il vecchio gli consigliò di raggiungere una lontana oasi riarsa nel deserto, di sedere tra gli alberi secchi e di raccogliere l'acqua salmastra per i viaggiatori di passaggio.
E l'uomo, nel tentativo di vincere la sua collera, andò nel deserto fino al posto degli alberi secchi. Per mesi raccolse l'acqua salmastra e la offrì a tutti quelli che passavano. Trascorsero gli anni, e non soffriva più di accessi di collera
 
Un giorno arrivò all'oasi uno scuro cavaliere, e lanciò un'occhiata altezzosa all'uomo che gli offriva l'acqua. Il cavaliere disprezzò l'acqua torbida, la rifiutò e riprese a cavalcare. L'uomo che offriva l'acqua andò subito in collera, tanto da essere accecato, e afferrò il cavaliere, lo tirò giù dal suo cammello e lo uccise. Immediatamente con dolore comprese di essere stato consumato dalla collera. Ed ecco cosa accadde poi.
D'improvviso un altro cavaliere arrivò al galoppo. Guardò il volto del morto ed esclamò: Allah sia ringraziato! Hai ucciso l'uomo che stava andando ad assassinare il re!" e in quel momento l'acqua torbida dell'oasi si fece limpida e dolce e gli alberi secchi diventarono verdi e si ricoprirono di gemme.

La giusta collera: porgere l'altra guancia è cosa da soppesare con molta cura. Arrivano momenti in cui è d'obbligo liberare una rabbia che scuota i cieli. Occorre per questo scegliere il momento giusto, la collera non va scatenata in modo indiscriminato.
Dare la vita è un impulso innato nella maggior parte delle donne, ma c'è il momento della collera giusta, della rabbia giusta.
In genere le donne riescono a percepire il minimo cambiamento di umore negli altri, sanno leggere sui volti e sui corpi e spesso in piccoli indizi che le fanno capire cosa avviene nella mente degli altri. Per usare tutte queste doti selvagge, le donne restano aperte a tutto. Ma questa apertura rende i loro confini vulnerabili, esponendole alle ferite dello spirito.
Una donna può avere dentro di sé una rabbia diffusa che la costringe a scavare, o a essere fredda, può piegare alla sua volontà coloro che da lei dipendono, privarli del suo affetto, può negare una lode o la fiducia, agire da persona il cui istinto è molto ferito. Molte donne così afflitte cercano di non essere più meschine, di mostrarsi più generose. Ma questo non dura, è necessario sapere quando liberare una giusta collera e quando no. La collera giusta è un diritto, e in alcuni casi un dovere morale.
 
Gli alberi secchi (Medio Oriente)


 
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LA DONNA DAI CAPELLI D'ORO

C'era una volta una donna strana ma assai bella dai lunghi capelli d'oro sottili come grano filato. Era povera, non aveva né madre né padre, viveva sola nei boschi e tesseva su un telaio fatto con i rami di noce scuro. Un tipo brutale, che era figlio del carbonaio, cercò di costringerla al matrimonio, e lei nel disperato tentativo di comprare la rinuncia, gli regalò una ciocca di capelli d'oro.
Ma lui non sapeva o non si curava del fatto che era oro spirituale, non denaro, quello che gli aveva dato, e quando volle vendere i capelli come una qualsiasi mercanzia al mercato, la gente lo canzonò e pensò che fosse pazzo.
In collera, di notte tornò alla capanna della donna, la uccise con le sue mani e ne sotterrò il corpo accanto al fiume. Per molto tempo nessuno si accorse della sua assenza- nessuno si curava del suo cuore o della sua salute.
Ma nel sepolcro i capelli d'oro della donna presero a crescere.
 
Si sollevarono in spire attraverso la terra nera, e crebbero sempre di più fino a ricoprire la tomba di un campo di ondeggianti giunchi d'oro.
I pastori tagliarono i giunchi per farne flauti e non smisero più di cantare.
Qui giace la fanciulla dai capelli d'oro
Assassinata e nel suo sepolcro,
uccisa dal figlio del carbonaio
perché desiderava vivere.
E così l'uomo che aveva tolto la vita alla donna dai capelli d'oro fu scoperto e portato in giudizio, e coloro che vivono nei boschi selvaggi del mondo furono di nuovo al sicuro.

La forza vitale della bella donna solitaria continua a crescere e a vivere e ad emanare conoscenza conscia anche se tacitata e sepolta. Lei è una kore, quell'aspetto della psiche femminile che è la donna-che-non-si-sposerà-mai. E' occupata a selezionare e tessere idee, pensieri e imprese. La forza vitale di una donna può continuare a crescere anche nelle condizioni più misere.
Alcuni segreti sono corroboranti, i segreti della vergogna sono molto diversi. I segreti vergognosi diventano ossessivi. Esistono tante forme di cicatrici quanti sono i tipi di ferite inferte alla psiche. Qualunque sia il segreto, la psiche è colpita. Se una donna desidera serbare i suoi istinti può rivelare il suo segreto a un essere umano degno di fiducia, che ascolti con il cuore aperto e ne sia toccato. Quando un segreto non viene confidato, il lutto continua per tutta la vita.
 
La donna dai capelli d'oro


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LA FANCIULLA SENZA MANI (Europa centrale e orientale)

C'era una volta, qualche giorno fa, un uomo che possedeva ancora una grande pietra che macinava il grano e lo riduceva in farina per gli abitanti del villaggio. Erano tempi duri per il mugnaio, al quale non erano rimasti che la macina in un capannone e un grande melo fiorito dietro al capannone.
Un giorno, mentre con la sua accetta d'argento era nel bosco per tagliare i rami secchi degli alberi, uno strano vecchio spuntò di dietro a un albero. "Non c'è alcun bisogno di torturarsi spaccando legna" lo lusingò il vecchio. "Ti farò ricco se solo mi darai quel che si trova dietro al mulino". Che c'è dietro al mulino se non il melo fiorito? Pensò il mugnaio, e accettò l'affare proposto dal vecchio.
"Tra tre anni verrò a prendere ciò che è mio", ridacchiò lo straniero, e zoppicando sparì nel folto degli alberi.
Il mugnaio incontrò la moglie sul sentiero. Era corsa fuori dalla casa con il grembiule svolazzante e i capelli scompigliati."Marito, marito mio, ai rintocchi del mezzogiorno, nella nostra casa è arrivato un orologio più bello sulla parete,
 
le sedie rustiche sono state sostituite da sedie ricoperte di velluto, la povera dispensa è piena di selvaggina, casse e bauli traboccano. Dimmi, ti prego, come ha potuto accadere tutto ciò?" e in quel preciso istante le sue dita si ornarono di anelli d'oro e i suoi capelli si raccolsero in un cerchietto d'oro.
"Ah" esclamò il mugnaio guardando con meraviglia il suo farsetto diventato di raso. Sotto i suoi occhi gli zoccoli dai tacchi così consunti che camminava all'indietro, si trasformarono in bellissime calzature. "E' per via di uno straniero" raccontò affannosamente "nel bosco ho incontrato uno strano tipo coperto da uno scuro mantello che mi ha promesso grandi ricchezze se gli avessi dato quel che sta dietro al mulino. Posso sempre piantare un altro melo!".
"Oh, marito mio!" gemette la moglie, e pareva colpita a morte. "L'uomo dal mantello nero era il Demonio, e dietro al mulino c'è nostra figlia a spazzare il cortile con una ramazza di salice".
E così i genitori corsero a casa, e piansero amare lacrime su tutti i loro fronzoli. La figlia rimase senza maritarsi per tre anni, e la sua indole era come le prime dolci mele della primavera. Il giorno in cui il Diavolo venne a prenderla, fece il bagno e indossò un abito bianco e restò nel cerchio di gesso che si era disegnata attorno. Quando il Diavolo volle afferrarla, una forza invisibile lo scaraventò oltre il cortile.
Urlò il Diavolo: "Non dovrà mai più fare il bagno, altrimenti non posso avvicinarmi a lei". I genitori rimasero terrorizzati e così passarono alcune settimane, e la fanciulla non fece il bagno finchè i suoi capelli non furono tutti arruffati, e le unghie nere, e la pelle grigia, e gli abiti anneriti e induriti dalla sporcizia. Allora il Diavolo tornò. Ma la fanciulla si mise a piangere e le lacrime scivolarono sul palmo delle mani e lungo le braccia. Ora le mani e le braccia erano di un bianco purissimo e pulite. Il Diavolo montò in collera: "Tagliatele le mani, altrimenti non potrò avvicinarmi a lei". Il padre era sconvolto dall'orrore. "Vuoi che tagli le mani a mia figlia?". Il Diavolo urlò: " Tutto qui morrà, anche tu, tua moglie e tutti i campi all'intorno".
Il padre fu così terrorizzato che ubbidì, e chiedendo perdono alla figlia prese ad affilare la sua accetta dal filo d'argento. La figlia si rassegnò e disse: "Sono tua figlia, fa' come devi". E questo fece, e alla fine non si poteva dire se urlava più forte la figlia o il padre. Così terminò la vita della fanciulla come lei l'aveva conosciuta.
Quando il Diavolo tornò la fanciulla aveva tanto pianto che i tronconi rimasti erano di nuovo puliti, e il Diavolo venne di nuovo lanciato oltre il cortile quando cercò di afferrarla. Imprecando con parole che accesero piccoli incendi nel bosco, scomparve per sempre, poiché non aveva più alcun diritto su di lei.
Il padre aveva ormai cent'anni, e la moglie anche. Il vecchio padre offrì alla figlia di vivere in un castello di grande bellezza e ricchezza per tutta la vita, ma la figlia disse che preferiva fare la mendicante e dipendere dalla bontà altrui per il sostentamento. E così le avvolsero le braccia in una garza pulita, e all'alba si allontanò dalla vita quale l'aveva conosciuta. Camminò e camminò. La calura fece sì che il sudore striasse la sporcizia sulla faccia. Il vento le scarmigliò i capelli, che diventarono come il nido di una cicogna fatto di ramoscelli intrecciati alla meglio. Nel pieno della notte arrivò a un frutteto reale in cui la luna aveva poggiato un barlume di luce sui frutti che pendevano dagli alberi.
Non poteva entrare perché il frutteto era circondato da un fossato. Cadde in ginocchio, perché moriva di fame. Un fantasma bianco apparve e sollevò la paratoia, così il fossato si svuotò. La fanciulla camminò tra i peri, e in qualche modo sapeva che ogni pera perfetta era stata contata e numerata, e qualcuno le custodiva. Un ramo si piegò così basso che potè prenderlo. Poggiò le labbra sulla buccia dorata di una pera e la mangiò stando lì in piedi nel chiarore lunare, con le braccia avvolte nella garza, i capelli scarmigliati, con l'aspetto di una donna di fango, la fanciulla senza mani.
Il guardiano vide tutto, ma riconobbe la magia dello spirito che custodiva la fanciulla, e non intervenne. Quando ebbe finito di mangiare quell'unica pera, la fanciulla attraversò il fossato e andò a dormire al riparo degli alberi. La mattina dopo il re arrivò per contare le pere. Scoprì che ne mancava una. Quando venne interrogato il custode spiegò: "Due spiriti prosciugarono il fossato, entrarono nel giardino mentre alta era la luna, e una senza braccia mangiò la pera che gli si offriva".
Il re disse che quella notte avrebbe vegliato. A notte arrivò insieme al suo giardiniere e al suo mago, che sapeva parlare agli spiriti. I tre sedettero sotto un albero e rimasero in osservazione. A mezzanotte, la fanciulla arrivò fluttuando dal bosco, con indosso vecchi stracci sporchi, i capelli arruffati, il volto striato, le braccia senza mani, e lo spirito bianco accanto a lei. Entrarono nel frutteto come l'altra volta. Di nuovo l'albero gentilmente si piegò perché potesse raggiungerlo e lei gustò la pera all'estremità del ramo.
Il mago si avvicinò ma non troppo, e domandò: "Sei di questo mondo o non di questo mondo?". E la fanciulla rispose: "Un tempo ero del mondo, e cionondimeno non sono di questo mondo". Il re interrogò il mago: "E' un essere umano o uno spirito?". Il mago rispose che era tutte e due le cose. Il cuore del re sobbalzò ed egli corse verso di lei e le disse a gran voce: "Non ti abbandonerò. Da oggi in poi mi prenderò cura di te". Al castello fece fare per lei due mani d'argento, che furono fissate alle sue braccia. E fu così che il re sposò la fanciulla senza mani.
Dopo qualche tempo, il re dovette muover guerra a un regno lontano, e chiese alla madre di prendersi cura della sua giovane moglie, poiché l'amava con tutto il cuore. "Se darà alla luce un bambino, inviami immediatamente un messaggio".
La giovane regina diede alla luce un bel bambino e la madre del re inviò subito un messaggero per dargli la buona notizia. Ma lungo la via il messaggero si sentì stanco e insonnolito, e cadde in un sonno profondo accanto alla riva di un fiume. Il Diavolo spuntò da dietro un albero e cambiò il messaggio: diceva che la regina aveva partorito un bambino che era per metà cane.
Il re rimase sconvolto, ma inviò un messaggero dicendo di amare la regina e di prendersi cura di lei il quel terribile momento. L'uomo che portava il messaggio di nuovo arrivò al fiume e cadde in un profondo sonno. Al che il Diavolo tornò e cambiò il messaggio: "Uccidete la regina e il suo bambino".
La vecchia madre rimase sconvolta dalla richiesta e inviò un messaggero per avere la conferma. I messaggeri andarono e tornarono, sempre addormentandosi vicino al fiume, col Diavolo che cambiava i messaggi rendendoli sempre più terribili; l'ultimo diceva: "Conserva la lingua e gli occhi della regina come prova che è stata uccisa". La vecchia madre non se la sentiva di uccidere la dolce giovane regina. Sacrificò invece una daina, ne prese la lingua e gli occhi e li nascose. Poi aiutò la giovane regina a legarsi il piccolo al petto, la ricoprì con un velo e le disse che doveva fuggire per salvarsi la vita. Le donne piansero e si abbracciarono, nella speranza di rivedersi.
La giovane regina vagò finchè arrivò alla più grande e selvaggia foresta che avesse mai visto. Si aggirò intorno alla ricerca di un sentiero per penetrarvi. All'imbrunire riapparve il solito spirito bianco e la guidò fino a una povera locanda tenuta da gentili abitatori del bosco. Una fanciulla dall'abito bianco fece entrare la regina e la chiamò per nome. Il bimbo venne messo a giacere. "Come fai a sapere che sono una regina?" domandò la fanciulla. "Noi che siamo nel bosco seguiamo queste cose, mia regina. Ora riposa".
Così la regina rimase sette anni alla locanda, ed era felice con il suo bambino e della sua vita. Pian piano le mani ripresero a crescere, prima come piccole mani di bambina, rosee come le perle, e poi come mani di ragazza, e infine come mani di donna.
Intanto il re era tornato dalla guerra, e la vecchia madre gli domandò piangente: "Perché hai voluto che uccidessi due innocenti?" e gli mostrò gli occhi e la lingua. Udendo la terribile storia, il re vacillò e pianse un pianto inconsolabile. La madre vide il suo dolore e gli raccontò la verità. Il re decise di partire immediatamente, senza mangiare né bere, e di viaggiare fino in capo al mondo per ritrovarli. Per sette anni continuò a cercare. Le sue mani divennero nere, la barba scura come torba, gli occhi cerchiati di rosso e riarsi. Per tutto quel tempo non mangiò né bevve, ma una forza più grande di lui lo aiutava a vivere.
Alla fine giunse alla locanda. La donna con l'abito bianco lo fece entrare, e lui si sdraiò, così stanco. La donna gli pose un velo sulla faccia e lui si addormentò. Mentre il respiro diventava profondo, il velo lentamente gli scivolò dalla faccia. Si risvegliò per trovare accanto a sé una bellissima donna e uno stupendo bambino che lo guardavano. "Io sono la tua sposa e questo è tuo figlio". Il re avrebbe voluto crederle, ma la fanciulla aveva le mani. "Per le mie fatiche e la mia cura, le mani mi sono ricresciute", disse la fanciulla. E la donna con l'abito bianco portò le mani d'argento riposte come un tesoro in un cassettone. Il re si levò e prese tra le braccia la regina e suo figlio e quel giorno ci fu grande gioia nel bosco. Tutti gli spiriti e gli abitanti della locanda parteciparono a uno splendido festino. Poi il re, la regina e il bambino tornarono dalla vecchia madre, festeggiarono un altro sposalizio ed ebbero molti bambini, i quali raccontarono questa storia a centinaia di altri, che raccontarono questa storia a centinaia di altri ancora, come voi siete tra le altre centinaia a cui la racconto.


Questa storia copre un viaggio di molti anni, il viaggio dell'intera esistenza di una donna. Parla dell'iniziazione nel bosco sotterraneo mediante il rito della resistenza.
La prima fase: il baratto alla cieca.
Quale baratto maldestro fanno le donne? Accettiamo il baratto meno conveniente quando cediamo la nostra vita sapiente profonda in cambio di una molto più fragile, quando rinunciamo ai denti, agli artigli, al nostro senso, al nostro odorato. Come il padre del racconto, concludiamo l'affare senza renderci conto della sofferenza che ci costerà. L'iniziazione di una donna comincia con il maldestro baratto accettato tanto tempo prima, quando ancora sonnecchiava. In uno stato di dormiveglia psichico assai simile al sonnambulismo. La figlia del racconto è una creatura amabile da contemplare, un'innocente. Potrebbe per tutta la vita spazzare il cortile dietro al mulino.
Il racconto inizia con il tradimento non intenzionale ma tremendo del femminino, dell'innocente. Il padre, simbolo di quella funzione della psiche che dovrebbe guidarci nel mondo esterno, non comprende che molte cose non sono come appaiono al primo contatto.
A nessun essere senziente è concesso di rimanere per sempre innocente in questo mondo. Per crescere dobbiamo affrontare il fatto che le cose non sono come a tutta prima sembrano. La perdita e il tradimento sono i primi passi malfermi del lungo processo iniziatico che ci sospinge nella selva subterranea. Lì possiamo superare le mura che ci siamo costruite.
Il maldestro baratto vale anche per la donna di qualsiasi età non iniziata, o la cui iniziazione è incompiuta.
La storia comincia con il simbolo del mulino e del mugnaio. Come questi la psiche macina idee. Questa capacità psichica viene detta "lavorazione". Ma nella storia il mulino non macina, nulla si fa dei materiali grezzi che arrivano ogni giorno nella nostra esistenza e la psiche smette di nutrirsi in modo critico. La vita creativa della psiche si trova a un punto morto. Immaginiamo che in quel periodo ci venga offerto qualcosa gratuitamente. Quando una donna rinuncia agli istinti che le dicono quando è il momento giusto per dire sì e quando per dire no, quando abbandona l'introspezione, l'intuito e tutti gli altri suoi caratteri selvaggi, allora si ritrova in situazioni che promettevano meraviglie e in realtà danno sofferenza.
Il Diavolo rappresenta la forza predatrice della psiche, la forza oscura, che in questo racconto non viene riconosciuta per quello che è. La luce, che sia lo splendore della vita creativa di una donna, la sua anima selvaggia, la sua bellezza fisica, la sua intelligenza o la sua generosità, attrae sempre il predatore. La luce ignara e senza protezione è sempre un bersaglio. Un tipo di baratto può essere quello di non dire mai di no pur di essere amata.
Il melo fiorito è una metafora della fecondità, ma ancor più del bisogno creativo intensamente sensuale e della maturazione delle idee. Constatiamo la devastante disistima della psiche per il valore del femminino primordiale elementare quando il padre dice: "Potremo certo piantarne un altro". Il giovane io viene svenduto senza che se ne riconosca il grande valore. Ma è proprio da questa frattura della conoscenza che prende avvio l'iniziazione alla resistenza.
Il mugnaio taglia la legna: la psiche comincia ad affrontare la durissima fatica di portare luce e calore a se stessa. Ma l'io è sempre alla ricerca di una comoda scappatoia. Quando il Diavolo dice di poter risparmiare la fatica, il mugnaio accetta, sentendosi sollevato che esista un sistema più facile: ma non esiste trasformazione senza fatica. Quando scansiamo la fatica di tagliare la legna, al suo posto saranno tagliate le mani della psiche.
Questo è per tutte l'inizio. Ora il dolore diventa conscio. In questo caso, una donna può farne qualcosa. può usarlo per apprendere, per diventare forte, per diventare sapiente.
La seconda fase: lo smembramento.
Restiamo tramortite quando comprendiamo l'accaduto. Proviamo orrore per aver rispettato il baratto.
Passano tre anni tra il momento del baratto e l'arrivo del Diavolo. In questi tre anni la donna non ha la chiara consapevolezza di essere lei il sacrificio. In questi tre anni il lavoro consiste nel rafforzarsi il più possibile, nell'usare per sé tutte le risorse psichiche, nel diventare il più possibile consapevoli. L'irrequietezza è tipica di questa fase dello sviluppo spirituale. Arriva la crisi quando siamo in attesa di quel che sarà, ne siamo certe, la nostra distruzione, la nostra fine. Allora, come la fanciulla, drizziamo le orecchie per sentire una voce lontana, che ci dice di essere forti, e come mantenere lo spirito semplice e puro. Se ascoltiamo le voci dei sogni, le immagini, le storie e la nostra arte, coloro che se ne sono andate prima di noi, qualcosa arriva, il personale rito psicologico che serve a consolidare questa fase del processo. Porre attorno a sé la protezione della madre selvaggia - il cerchio di gesso - permette che la discesa psicologica continui senza deviazioni.
La fanciulla lacrima sulle sue mani. Le lacrime sono una germinazione di ciò che la preserva, che purifica la ferita che le è stata inferta. Qualcosa in questo pianto tiene lontano il predatore, tiene lontano il desiderio insano che la perderebbe. Le lacrime aiutano ad accomodare le lacerazioni della psiche, là dove l'energia è colata via. Le lacrime ci rendono consapevoli, non è possibile riprendere a dormire quando si piange.
Il Diavolo non può avvicinarsi all'io selvaggio, la cui purezza respinge l'energia distruttiva. Allora ordina al padre di mutilare la figlia, vuole che perda le mani, cioè la capacità psichica di afferrare, trattenere, aiutare se stessa e gli altri. Nel perdere le mani, la donna compie il cammino nella selva subterranea dell'iniziazione. Possiamo intendere la rimozione delle mani psichiche così come il simbolo veniva inteso dagli antichi. In Asia, l'ascia celestiale era usata per separare l'individuo dall'io non illuminato. Le mani vengono recise per prendere le distanze dalle seduzioni, dalle cose insignificanti a portata di mano, che ci impediscono di crescere. L'albero fiorito deve subire l'amputazione. Nella metafora del taglio delle mani vediamo che poi nascerà qualcosa, la donna della favola non può più continuare ad essere com'è stata. Quando diciamo che una donna ha le mani mozze, intendiamo che è recisa dal conforto e dalla cura di sé, capace dunque solo di seguire il vecchio cammino.
E' dunque giusto continuare a piangere, le lacrime sono il muro d'acqua che tiene lontano il Diavolo, perché c'è qualcosa nella purezza delle lacrime sincere che spezza il suo potere, le lacrime ci aiutano a non venir ridotti in cenere. Essere un albero fiorito e umido è fondamentale, altrimenti ci si spezza. E' bene piangere, è giusto, non risolve il dilemma, ma aiuta a continuare.
A questo punto si produrrà un cambiamento nella nostra esistenza, la nostra vita come la conoscevamo è finita. Desideriamo essere sole, essere lasciate in pace. Non possiamo più fare affidamento sulla cultura paterna dominante, stiamo per la prima volta imparando la nostra vera vita. Tutto ciò a cui davamo valore perde il suo sfavillio. Questo induce il Diavolo a svignarsela, la cosa che desidera distruggerci si ritira. E noi abbiamo ancora dei piedi che conoscono la strada, una
mente-anima che vede lontano, seni e ventre con cui sentire.
La terza fase: il vagabondaggio.
L'iniziazione è un processo mediante il quale abbandoniamo la nostra inclinazione naturale a restare inconsapevoli e decidiamo di perseguire, anche se dovremo lottare e soffrire, un'unione conscia con la mente più profonda. Padre e madre tentano di riportare la fanciulla a uno stato inconscio: "resta con noi", ma la sua natura istintuale non accetta, perché sente di dover riuscire a vivere completamente sveglia. La fanciulla diventa una vagabonda, e questa è una resurrezione a una nuova vita. In questa fase le donne spesso cominciano a sentirsi disperate e insieme decise a continuare il viaggio. E così lasciano una vita per un'altra, una fase dell'esistenza per un'altra, un'amante per nessun altro amante. Padre e madre muoiono, i suoi nuovi genitori sono la strada e il vento. All'epoca dei grandi matriarcati era inteso che una donna sarebbe stata naturalmente condotta nell'oltretomba, guidata dai poteri del femminino profondo, era una parte della sua istruzione e un'impresa per ottenere la conoscenza.
Ora la fanciulla è affamata. Quando discendiamo nella natura primaria i vecchi modi automatici di nutrirsi sono eliminati, cose del mondo perdono il loro sapore, per noi non c'è cibo. E' quindi un miracolo della psiche se, quando siamo tanto indifese, giunge un aiuto, e al momento giusto. La fanciulla è visitata dallo spirito bianco, un emissario dell'anima, che rimuove le barriere che le vietano di nutrirsi. Lo spirito scorta la fanciulla attraverso il regno sotterraneo degli alberi. E' importante per la donna che compie il viaggio di individuazione, avere buon senso spirituale, o essere assistita da una guida, per non cadere nella fantasmagoria dell'inconscio, per non perdersi in questo materiale tormentoso. L'albero da frutta offre cibo generoso, perché raccoglie l'acqua nei suoi frutti. Per questo si pensa che il frutto sia investito d'anima, di una forza vitale che si sviluppa e contiene acqua, aria, terra, cibo e seme. La psiche delle donne nutrite con il frutto e l'acqua e il seme continua nella maturazione. Nei tempi più bui l'inconscio femminile, l'inconscio uterino, la Natura , nutre l'anima della donna: il pero del frutteto si china per dare alla fanciulla il suo frutto. La discesa nutrirà anche se è buio, anche se si ha la sensazione di aver perduto la strada. Ci nutriamo del corpo della madre selvaggia, mangiamo quel che diventeremo.
La quarta fase: il ritrovamento dell'amore nell'oltretomba.
Il re è uno dei principali guardiani dell'inconscio femminile, il suo frutteto è ricco di alberi della vita e della morte. E' della famiglia degli dei selvaggi. Come la fanciulla è capace di sopportare molto. E come la fanciulla ha davanti un'altra discesa da compiere. In un certo senso si direbbe che insegua la fanciulla. Quando andate vagando, qualcuno stagionato ed esperto attende che bussiate alla sua porta.
Il giardiniere, il re e il mago sono tre personificazioni mature dell'archetipo maschile. I principali agenti di trasformazione presenti nel frutteto sono:
LA FANCIULLA - Rappresenta la psiche sincera, e prima dormiente. Ma è un'eroina guerriera, ha la resistenza della lupa solitaria, sa sopportare sporcizia, sudiciume, tradimento, ferite, solitudine, esilio.
LO SPIRITO BIANCO - E' la guida, colui che ha una sapienza innata e gentile, un battistrada nel viaggio della donna.
IL GIARDINIERE - E' un coltivatore dell'anima, un custode rigenerativo del seme, del suolo e della radice. La sua funzione è la rigenerazione.
IL RE - Rappresenta un tesoro di sapienza ritrovato nell'oltretomba. Ha la capacità di portare nel mondo la conoscenza interiore. Nella storia, quando vaga alla ricerca della sua regina perduta, patirà una sorta di morte che lo trasformerà da re civilizzato in re selvaggio. Rappresenta il rinnovamento degli atteggiamenti e delle leggi predominanti della psiche femminile.
IL MAGO - Rappresenta la magia diretta del potere femminile. aiuta a conservarla e a metterla in atto nel mondo esterno.
LA REGINA MADRE - In questo racconto è la madre del re. Rappresenta la fecondità, la grande autorità nel vedere i trucchi del predatore, la capacità di attenuare le maledizioni. E' il concime che fa nascere le idee.
IL DEMONIO - E' il predatore naturale della psiche femminile, è una forza che è stata separata dal suo aspetto portatore di vita, una forza da domare e contenereE' attraverso la congiunzione e la pressione di tali elementi dissimili alberganti lo stesso spazio psichico che si fanno l'energia, l'introspezione e la conoscenza. Avverrà una morte spirituale e nascerà una nuova vita. Se vi trovate nel frutteto e con voi ci sono questi aspetti psichici identificabili, non è il caso di volgere le spalle: dobbiamo andare avanti.
Le pere rappresentano un'esplosione di vita nuova, un seme della nuova individualità. Sono lì per tutte le persone affamate durante il lungo viaggio verso l'oltretomba.
I tre attributi maschili della psiche femminile - il giardiniere, il re, il mago- sono coloro che osservano, interrogano e aiutano la donna nel suo viaggio nell'oltretomba.
Mediante il simbolo rotondo del fiume, il fossato, il racconto ci avverte che quest'acqua non è un'acqua qualsiasi, è un confine, quando si passa si entra in un altro stato dell'essere. Qui la fanciulla passa attraverso lo stato di consapevolezza riservato ai morti, ma non deve morire, bensì attraversare la terra dei morti come creatura vivente, perché è così che si forma la consapevolezza. L'acqua del fiume non va bevuta, né attraversata. Non dobbiamo giacere e addormentarci su quanto è stato tanto difficile raggiungere, né saltare nel fiume nel folle tentativo di accelerare il processo. Dobbiamo passare nel letto prosciugato.
Il mago dice che la fanciulla è sia un essere umano che uno spirito: vive nei giorni del mondo di sopra, ma il lavoro di trasformazione avviene nel mondo sotterraneo, e lei può stare in entrambi. Quando una persona si trova in questo stato di duplice cittadinanza, può commettere l'errore di pensare che sia una buona idea allontanarsi dal mondo, dalla vita mondana, con tutte le sue fatiche e i suoi doveri. Invece in questi momenti il mondo esterno è l'unica fune rimasta alla caviglia di chi spenzola nell'oltretomba. Questa fatica di vagare in due mondi ci porta ad abbandonare le paure e le ambizioni dell'io per seguire semplicemente ciò che arriva.
Il re lancia un'occhiata alla fanciulla e immediatamente, senza un dubbio o un tremito, la ama come fosse sua. La riconosce sua non nonostante il fatto che sia una selvaggia vagabonda senza mani, ma proprio grazie ad esso. Anche se vaghiamo sporche e vestite di stracci, e senza mani, una gran forza dell'Io può amarci, e ci stringe al suo cuore. Il re promette di proteggerla e amarla. Ora la psiche è più conscia, avverrà lo sposalizio tra due parti così disparate, due vite energiche ma dissimili sono unite. Il re ordina per la fanciulla un paio di mani-spirito, ora la donna ha la capacità di camminare e la manualità, la mano simbolica nel mondo sotterraneo può vedere al buio e attraversare il tempo. Le mani psichiche permettono di afferrare meglio i misteri dell'oltretomba, rappresentano un passaggio della fanciulla in un ruolo diverso.
La quinta fase: lo strazio dell'anima.
Il re si sposa e deve subito partire per la guerra, lontano: l'energia regale della psiche ricade in modo che possa verificarsi il passo successivo del processo, e sia sottoposta a debita prova la posizione psichica appena trovata dalla donna. Quando sentiamo una minore vicinanza del sostegno, sta per cominciare un periodo di prova durante il quale ci sarà chiesto di nutrirci soltanto della memoria dell'anima, finchè l'amato non potrà tornare. Allora i nostri sogni sono il solo amore che per qualche tempo avremo. Il contributo psichico del re è mantenuto dall'amore e dalla memoria.
Spesso in questo periodo la donna è ricolma di un'idea nascente su quello che la sua vita può diventare se persevererà nel lavoro. Per via dell'esplosione di vita nuova, di nuovo salta nell'abisso. Ma questa volta l'amore del maschile interiore e dell'Io selvaggio la sosterranno come mai era accaduto prima. L'unione del re e della regina nel mondo sotterraneo produce un bambino magico che ha tutto il potenziale del mondo sotterraneo. Partorire significa divenire se stesse, un unico io, una psiche non divisa. Nella nascita sotterranea una donna apprende che tutto ciò che la sfiora è una parte di lei. Un nuovo io avanza. La nostra vita interiore, quale l'abbiamo conosciuta, sta per cambiare. Quel che bramiamo non potrà mai essere offerto da un compagno, da un lavoro, dal denaro, da qualcosa di nuovo. Quel che bramiamo è l'altro mondo, il mondo che sostiene la nostra vita in quanto donne.
La madre del re è la vecchia La Que Sabè. Quando nasce l'Io bambino la vecchia regina madre invia un messaggio al re ma il messo che dovrebbe collegare e rendere possibile la comunicazione tra queste due componenti della nuova psiche non sa ancora difendersi dalla forza distruttiva/seduttiva della psiche. Si addormenta, e il Diavolo affamato è in agguato. Egli trasforma un messaggio che doveva provocare amore e festa in uno che provoca disgusto. Il Diavolo si fa beffe di noi: "Sei tornata all'ingenuità e all'innocenza ora che sei amata? Pensi che sia tutto finito, stupidissima donna?". Questo è l'errore: dimenticarsi dell'esistenza del Diavolo. Il predatore è abile nel travisare le percezioni umane e le comprensioni vitali che ci servono per sviluppare dignità morale, prospettiva visionaria e azione adeguata nelle nostra vita e nel mondo. Se è vero che il predatore predilige la preda affamata d'anima, è attratto anche dalla consapevolezza, dalla riforma, dalla liberazione e dalla nuova libertà. Egli tramuta i messaggi portatori di vita tra l'anima e lo spirito in messaggi portatori di morte , che ci spezzano il cuore, provocano vergogna e ci inducono a non fare l'azione giusta.
Comunque, la madre del re vede bene cosa sta accadendo e si rifiuta di sacrificare la figlia. Smaschera il predatore. Non cede. La donna selvaggia sa come trattare un predatore. Le donne imparano a cercare il predatore invece di cercare di scacciarlo, ignorarlo e mostrarsi gentili con lui. Apprendono i suoi trucchi, i suoi travestimenti, il modo in cui pensa. Allora, sia che il predatore nasca all'interno, sia che venga dalla cultura esterna, saremo capaci di tenergli testa.
E' un fatto psichico che quando si dà vita a qualcosa di bello, emerge anche qualcosa di meschino, qualcosa di invidioso, che manca di comprensione o ostenta disprezzo. Il nuovo bambino verrà ingiuriato, definito brutto e biasimato. L'antidoto è la consapevolezza dei propri punti deboli e delle proprie doti, così che il complesso non possa agire per conto proprio. Quando una donna ha un complesso del Demonio, accade questo: prosegue nel suo cammino, lavora bene, pensando ai casi suoi, e all'improvviso ecco che salta fuori il Diavolo, e tutto il suo lavoro crolla. Il Diavolo mente e dice che il tempo trascorso dalla donna nel mondo sotterraneo ha prodotto un mostro, mentre in realtà ha prodotto uno splendido bambino.
Occorre moltissima fede per continuare, ma dobbiamo, e lo faremo. Sarebbe rovinoso abbandonare il lavoro ora. Il re della nostra psiche ha coraggio. Non si piegherà al primo colpo. Non si accartoccerà nell'odio e nel castigo come spera il Diavolo. Il re è sconvolto dal messaggio ma dice di prendersi cura della regina e del bambino. Possono due forze restare collegate anche se una è considerata abominevole e spregevole? Possono restare accanto indipendentemente da tutto ? La risposta e sì.
Quando il messaggio chiede di uccidere la regina e il bambino, la madre del re oppone un netto rifiuto. Il predatore spera che la psiche uccida in sé l'aspetto appena risvegliato, quello della donna sapiente. Ma essa dice : "E' troppo, non posso sopportarlo." E comincia ad agire con maggiore astuzia. La madre invia la giovane in un altro luogo simbolico dell'iniziazione, il bosco. Questo sarebbe stato nel corso naturale degli eventi, anche senza l'apparizione del Diavolo. Il Diavolo ci fa sentire l'esigenza di alzarci e correre al luogo successivo di iniziazione, che ci insegnerà i cicli finali della vita femminile.
Coperta da un velo, la fanciulla se ne va nel bosco, con il suo bambino al seno. Il velo segna la differenza tra nascondersi e travestirsi. E' il simbolo della concentrazione in se stesse. Dobbiamo tenerci stretta l'energia vitale e non cederla a chiunque la chieda, a qualunque ispirazione ci colga. Mettere un velo su qualcosa ne aumenta l'azione e il sentimento. La fanciulla del racconto, velata, è intoccabile, è di nuovo protetta. Siamo protette da una solitudine superiore, sontuosa, che ci nutre e ci dà saggezza. I divertimenti del mondo di sopra non ci abbagliano. Siamo meli in fiore in movimento, alla ricerca della foresta alla quale apparteniamo. In questo periodo siamo incaricate di ricordare, di persistere nel nutrimento spirituale, anche se siamo separate da quelle forze che ci hanno sostenuto in passato. Non possiamo restare per sempre nell'estasi dell'unione perfetta. Il nostro lavoro consiste nello svezzarsi da queste forze altamente eccitanti, pur restando in consapevole collegamento con loro, e andare avanti verso il compito successivo. Se restiamo in un luogo preferito della psiche, nella bellezza e nel rapimento, l'individuazione procede faticosamente e lentamente. Le forze sacre un giorno vanno abbandonate, almeno temporaneamente, perché possa verificarsi la fase successiva del processo.
La sesta fase: il regno della Donna Selvaggia.
La regina resta sette anni nella locanda del bosco, lentamente le ricrescono le mani. Il compito viene portato a termine. Lo spirito bianco che la guida e che la protegge è la vecchia Madre Selvaggia, la psiche istintuale che sa sempre cosa sta per accadere. I compiti e gli adempimenti di questi sette anni non vengono menzionati, ma l'iniziazione femminile è un archetipo, il cui nucleo resta sempre costante, nonostante le numerose varianti. La vita di una donna si divide in fasi di sette anni ciascuna, e ogni periodo comprende una certa serie di esperienze e adempimenti.
Nel periodo in cui rimane nel bosco alla fanciulla ricrescono le mani seguendo le varie fasi. La sua comprensione di quanto è accaduto è inizialmente imitativa, come in una bambina. Mentre le mani diventano quelle di una ragazza, sviluppa una comprensione completa ma non assoluta di ogni cosa. Quando infine divengono mani di donna, ha una presa esperta e più profonda sul non concreto, il metaforico, il sacro sentiero che ha percorso.
Allora la donna comprende di riavere una presa sulla sua vita, e mani per rimodellarla. E' maturata, ora è davvero "dentro di sé".
La settima fase: la sposa e lo sposo selvaggi.
Anche la ricerca del re dura sette anni. Alla fine c'è una festa spirituale. Il re, la regina e il bambino tornano dalla madre del re, e si celebra un nuovo sposalizio. Alla fine, la donna che ha compiuto la discesa, ha mescolato quattro poteri spirituali: l'animo regale, l'Io bambino, l'antica Madre Selvaggia e la ragazza iniziata. Sono questi quattro poteri a dirigere la psiche.
La fanciulla non è più la donna che il re ha sposato, non è più la fragile anima vagante. Ora conosce i suoi modi di donna in tutte le questioni. Ha le mani. Dunque il re deve soffrire per svilupparsi, per essere capace di portare quel che lei è e quel che lei sa su nel mondo. Egli non ha perduto le mani, ma la sua regina e la sua progenie, così l'animo imita il sentiero della fanciulla. Questo riorganizza il modo di essere della donna nel mondo, quello che la donna ha appreso si rifletterà non solo nella sua anima, ma sarà anche agito nel mondo.
Una delle cose sorprendenti di questa lunga iniziazione è che la donna che la affronta continua a vivere regolarmente all'esterno: ama gli amanti, partorisce figli, rincorre l'arte, si preoccupa del cibo, dipinge, lavora a maglia, lotta, seppellisce i morti, esegue i lavori quotidiani e quelli del lontano viaggio in profondità. E' meglio restare nel mondo che lasciarlo, perché la tensione è migliore e la tensione produce una vita preziosa.
Il tentativo del demoniaco di sorprendere l'anima è alla fine fallito. Il fatto che sia la fanciulla senza mani sia il re soffrano attraverso la stessa iniziazione di sette anni è il terreno comune tra il femminile e il maschile. Ci comunica che , invece dell'antagonismo, tra le due forze può instaurarsi un amore profondo, specie se radicato nella ricerca di se stessi.
Per le donne il lavoro consiste nel vagare nella foresta, e poi ricominciare a vagare. Inizialmente è dura stare con la Donna Selvaggia. Riparare l'istinto ferito, bandire l'ingenuità, apprendere gli aspetti più profondi della psiche e dell'anima, trattenere quel che abbiamo appreso, non volgerci altrove, proclamare a gran voce che cosa vogliamo…tutto ciò richiede una resistenza sconfinata e mistica.

 
La fanciulla senza mani (Europa centrale e orientale)

 

 

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Il Canto Hondo

Cominciammo la ricerca del selvaggio perché nel pieno di un qualche sforzo selvaggio sentimmo che era vicina una presenza selvaggia e forte e confortevole. Una selvaggia libertà dentro di noi era in movimento. La seguimmo, imparando sempre meglio a saltare, a correre, a seguire come ombre ciò che attraversava il nostro territorio psichico.
Le cose perdute per secoli si possono ritrovare seguendo le ombre che gettano
Le donne non possono sottrarsi. Se cambiamento interiore deve esserci, ogni donna deve farlo. Se deve esserci cambiamento nel mondo, noi donne abbiamo il nostro modo per aiutare a raggiungerlo.
Usate il vostro amore e i vostri buoni istinti per sapere quando ringhiare, assalire, colpire violentemente, quando uccidere, ritirarsi, latrare fino all'alba. Una donna deve scuotere più la testa, traboccare di più, avere più intuito, più vita creativa, più solitudine, più compagnia di donne, più vita naturale, più fuoco, più cucina di parole e di idee. Più circoli di cucito terroristi e più ululati. Molto più canto hondo.
Possiamo tutte affermare di essere socie del clan delle cicatrici, possiamo scrivere segreti sui muri, rifiutare di vergognarci. Non spendiamo troppo in collera. Da essa facciamoci potenziare.
Ovunque voi siate venite allo scoperto. Lasciate orme profonde. Siate la vecchia sulla sedia a dondolo che culla l'idea finchè non torna di nuovo giovane. Siate la donna paziente e coraggiosa dell'Orso della luna crescente che impara a vedere attraverso l'illusione. Non distraetevi ad accendere fiammiferi e fantasie come la piccola fiammiferaia.
Resistete fino a trovare coloro cui appartenete come il brutto anatroccolo. Purificate il fiume creativo affinchè la Llorona possa trovare quel che le appartiene. Come la fanciulla senza mani lasciatevi condurre dal cuore in salvo nella foresta. Come la Loba raccogliete le ossa di preziosi valori perduti e cantate per riportarli in vita. Perdonate quando potete, dimenticate un poco e create molto.
Quel che fate oggi influenzerà la vostra discendenza femminile in futuro. Le figlie delle vostre figlie delle vostre figlie probabilmente vi ricorderanno e seguiranno le vostre tracce. 

 
 

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